Il mito di Scilla e Cariddi


I due spaventosi mostri marini che, come riportato da Omero e Virgilio, atterrivano i marinai che si apprestavano ad attraversare lo Stretto. Forse piu’ che un mito visto che in tempi lontani l’attraversamento di tale tratto di mare era irto di pericoli sia per le forti contrastanti correnti che possono dar luogo a paurosi vortici, sia per i venti che soffiano violenti, talora in conflitto tra loro.

Sulla sponda calabra viveva Scilla (colei che dilania), stupenda ninfa figlia di Crateide e della quale si invagni’, non ricambiato, Glauco, dio marino dal corpo metà uomo e metà pesce. Glauco chiese aiuto alla maga Circe, rifiutandone pero’ la corte. Circe, accecata dalla gelosia, trasforma Scilla trasforma in un orrendo mostro circondato da sei cani dalle orrende bocche e dei colli lunghissimi a forma di serpente con cui afferrava gli esseri viventi da divorare seminando strage e terrore tra i naviganti
…… ma Scilla e’ atroce mostro, ……. dodici ha piedi, anteriori tutti, sei lunghissimi colli e su ciascuno spaventosa una testa, e nelle bocche di spessi denti un triplicato giro, e la morte piu’ amara di ogni dente. " (Odissea, libro XII)


Cariddi colei che risucchia, mitica personificazione di un vortice formato dalle acque dello stretto. Figlia della Terra e di Poseidone, venne trasformata in mostro da Zeus e relegata su di uno scoglio in prossimita’ della sponda sicula dello stretto in quanto, a causa della sua voracita’ rubo’ alcuni buoi a Gerione per divorarli
A detta di Omero ingoiava e rigettava tre volte al giorno un enorme quantita’ d'acqua del mare creando così giganteschi gorghi e correnti "terribili" da oltrepassare).
 (L’altro scoglio, piu’ basso tu lo vedrai, ………. e sotto Cariddi gloriosa l’acqua livida assorbe. Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe paurosamente. Ah, che tu non sia la’ quando riassorbe (Odissea, libro XII).
Di Cariddi parla anche Virgilio:
 (Il fianco destro di Scilla, il sinistro Cariddi implacabile tiene, e nel profondo baratro tre volte risucchia l’acqua, che a precipizio sprofondano, e ancora nell’aria con moto alternale scaglia, frusta le stelle con l’onda" (Eneide III 420-23)